Andrea Pontiroli, appunti sparsi su La mia musica nel silenzio

Andrea Pontiroli, autore dell'ebook La mia musica nel silenzio

Andrea Pontiroli, autore dell’ebook La mia musica nel silenzio

Abbiamo chiesto ad Andrea Pontiroli di scrivere qualche riga per farsi conoscere meglio dal suo pubblico e per scoprire com’è nato La mia musica nel silenzio: oggi pubblichiamo questo intervento in cui parla del suo ebook e della sua esperienza come scrittore.

Sarà anche il paradosso dello scrittore, ma davvero mi riesce difficile parlare del mio libro. Nonostante io scriva da quando avevo 15 anni, forse prima, non ricordo; nonostante abbia sempre sognato di vedere un giorno pubblicato almeno uno dei libri che ho scritto. Sì, perché di romanzi ne ho scritti tre e mezzo, e poi ho scritto racconti, e persino qualche poesia. Nulla che meriti la pubblicazione – con l’eccezione de La Mia Musica nel Silenzio, o almeno spero.

Ho iniziato a scrivere La Mia Musica nel Silenzio nel 1999, e ho un ricordo molto chiaro (anche se magari è un finto ricordo) di una notte a Bangkok in cui decisi che avrei scritto il mio terzo romanzo. Ho poi ritrovato di recente alcuni appunti, i primi che avevo preso per questo libro. E gli appunti iniziano con due domande: “Chi è? Prima o terza persona?”.

L’idea di scrivere di un artista, di un musicista, credo sia nata dall’ammirazione incondizionata che ho sempre provato per chi sapesse suonare uno strumento – oltre che dalla passione per la musica classica. Ho scelto uno strumento come il violino, che non so suonare, un po’ perché sono sempre stato convinto che sia uno dei più difficili, e un po’ perché la figura del violinista mi ha sempre affascinato.

L’idea di scrivere in prima persona credo risponda al desiderio di scrivere di una vita diversa dalla mia, desiderata, immaginata, forse temuta, ma attraverso il desiderio e l’immaginazione legata alla mia.

Le città in cui il romanzo è ambientato, e in generale la vita dei miei protagonisti in queste città, rispecchiano in minima parte episodi della mia vita, e lo fanno in maniera inversamente proporzionale: a Parigi, dove si svolge circa la metà del romanzo, non ho mai vissuto, nonostante ci sia stato parecchie volte, ma pochissime quando avevo iniziato a scrivere il libro; a New York ho vissuto sei mesi; e a Milano 23 anni consecutivamente. Ciò che invece queste città rispecchiano è una mia idea di come potrebbero essere, di come avrei potuto viverci, in una vita diversa, una vita che prende in minima parte ispirazione dal vissuto, e rappresenta invece una vita possibile, alternativa.

Quando lo terminai la prima volta, questo romanzo era lungo tre volte tanto, poi l’ho ripreso in mano parecchie volte nel corso degli anni, cercando di adattarlo all’evoluzione del mio modo di pensare, di scrivere, del mio gusto.

Un amico scrittore una volta mi aveva detto che occorre sempre lavorare per sottrazione, eliminando tutto quanto non è essenziale. Ciononostante, quando inviai il manoscritto a Ellera, dopo quello che io avevo creduto un notevole esercizio di sottrazione, era ancora quasi il doppio della versione finale.

Lavorare con Ellera è stata per me un’esperienza bellissima – e una grande sfida al tempo stesso. Un’esperienza bellissima perché godevo dell’attenzione totale nei confronti del mio romanzo, un’attenzione e una dedizione che mi hanno molto motivato. E tale motivazione è stata essenziale per trovare le energie che mi hanno permesso di riscrivere, di fatto, il mio libro negli ultimi sei mesi, ritagliandomi il tempo necessario (durante i viaggi, nei fine settimana, a volte la sera) per farlo. E confrontarsi con un occhio esterno, attento ma non amico, che ha come unico scopo quello di migliorare il testo, non quello di rassicurare l’autore, io credo sia essenziale.

Poi c’è (c’è stata) la pubblicazione – qualcosa a cui, inutile negarlo, io credo di avere aspirato dal primo momento, dalla prima parola che scrissi del mio primo romanzo… e qui le sensazioni sono tante, e contrastanti, e in evoluzione. Due sentimenti mi paiono, in questo momento, prevalere. Da una parte la soddisfazione, e il piacere che provo nella sorpresa della stragrande maggioranza dei miei amici, che non sapevano, e nei primissimi riscontri, finora positivi. Dall’altro, come una tristezza, perché la pubblicazione segna anche la fine di un’epoca, di un mondo immaginato dove essendo io l’unico personaggio esterno e reale, riuscivo a dimenticarmi di essere tale. Ora, è come se io da quel mondo immaginato fossi partito, e provo come un senso di malinconia, di mancanza…

Per chi volesse approfondire la conoscenza di Andrea, segnaliamo anche una splendida intervista apparsa sul blog Scusate, devo andare a leggere che affronta altri aspetti del suo lavoro.

Bookmark the permalink.

I commenti sono chiusi