Ho cominciato a lavorare a Un’opera di bene molti anni fa, avendo in mente da subito l’inizio e il finale. Mi mancava solo tutto il resto. Poi mi sono divertito a scrivere il “racconto nel racconto”, col quale lo scrittore Diego Venturini risponde a modo suo all’insolita richiesta di Teresa. L’ho scritto immaginando ovviamente che ne fosse lui l’autore, scimmiottando lo stile che gli avevo attribuito: una scrittura esplicita, un’acre ironia, una lingua di registro basso, dialettale. Quel racconto fu pubblicato in una raccolta nel novembre del 2009, e ora è disponibile in lettura gratuita sulla mia pagina Scribd.
La scrittura è proceduta poi secondo due linee: lo sviluppo dei personaggi e l’inserimento di brani che erano nati indipendentemente dal romanzo, ma che poi vi sono confluiti in maniera molto naturale, come richiamati da una comune “aria di famiglia”. Si tratta soprattutto dell’elaborazione di brevi appunti ripescati nei miei taccuini e di episodi autobiografici. Da ciascuno di questi sono venute fuori nuove idee, in un continuo processo di gemmazione.
Quello che più mi stimolava, come scrittore, era indagare il groviglio delle relazioni familiari: gli slanci amorosi, i conflitti, le ipocrisie, i rancori, i “non detti”. Come mia abitudine, non ho diviso i personaggi in buoni e cattivi: sono più interessato ai rapporti che essi stabiliscono fra di loro e con l’ambiente in cui vivono. Al lettore chiedo di giudicare quel mondo nel suo complesso, non di parteggiare per Tizio o Caio, anche perché sono convinto che lo scrittore non debba trasmettere “messaggi”, semmai condividere scoperte: non è un educatore, ma un esploratore, il cui desiderio più grande è quello di coinvolgere il lettore nel suo viaggio.
Anche se ne ho letti, spesso con piacere, non ho mai scritto testi “gialli”: mi manca il talento per il puzzle, per l’indizio nascosto, per il processo investigativo in ambito criminale. Il noir mi attrae di più, perché non si applica solo al campo penale, ma ad ogni situazione della vita in cui c’è qualcuno che desidera il male di un altro, talvolta perché ritiene di averlo subito e di doverlo semplicemente restituire. Sentimenti umanissimi, dolorosi e vitali. È questo lo stato d’animo da cui è dominato Alfredo, nipote di Diego e ultimo del terzetto di protagonisti del romanzo. Entrato lui in scena, tutto è diventato immediatamente più chiaro, e il romanzo “si è scritto da sé”.
L’altro tema che mi ha appassionato è il mistero della scrittura, della feconda illusione di riuscire a mettere in parole il caos dell’esistenza, con tutto il potere seduttivo, i limiti, la verità e l’inganno, il senso di angoscia e di consolazione che a quel mistero sono associati. I tre protagonisti ne saranno completamente soggiogati, fino alle estreme conseguenze, fino al beffardo epilogo, in cui la vita si prenderà la sua rivincita…