Per realizzare questa intervista – riletta e approvata dall’autore prima della pubblicazione – abbiamo raggiunto Primo Canu nel bersò di un bar tra Lomagna e Osnago, da cui è possibile vedere le tre piramidi di Montevecchia. Sono coperte di boschi e prati, qua e là serre e ville compaiono a ricordarci che si tratta di un territorio abitato. Spieghiamo a Canu che siamo incuriositi dalle particolarità del paesaggio, ma dice di non saperne nulla, se non che sono vere piramidi e che il comune di Montevecchia, fino a poco tempo fa, ha avuto un solo sindaco per ben vent’anni. Deroga dopo deroga, il comune è stato amministrato magnificamente, precisa. Canu è evidentemente di buonumore. Vicino a lui c’è un suo caro amico. Un giornalista locale. Un collega. Ce lo presenta.
L’ho voluto con me? No, l’ho incontrato al bancone. Era qui per la partita. Sì, sa che scrivo. Sì, mi ha letto.
Quando hai cominciato a scrivere?
Da ragazzino.
E cosa scrivevi, cos’hai scritto?
Da bambino un libro di scherzi… Api nei gusci gialli di plastica degli ovetti kinder da offrire alla zia preferita; cotone e ghiaia da infilare in fondo al corpo vuoto delle scarpe del papà; lucertole da convincere a entrare nella grande bocca del rubinetto della vasca da bagno che la mamma utilizzerà cinque minuti dopo, nel pomeriggio di sabato, prima di andare a messa; finti annunci da appendere in paese e a scuola, ad esempio bagno fuori uso, messa annullata, scuola chiusa… l’importante era non dare spiegazioni superflue. In quel libro c’era un’intera pagina dedicata agli scherzi telefonici. A ripensarci ora devo dire che ne sono orgoglioso. Ma voi non mi sembrate, come dire, entusiasti…
Volevamo invece sapere quando ti sei avvicinato alla letteratura propriamente detta. Racconti, poesie…
E invece avreste dovuto chiedermi se ho mai realizzato gli scherzi che ho compendiato in quel primo libro. E quali conseguenze ho eventualmente incontrato… Almeno io avrei fatto questa domanda.
Canu ci sorride con tutti gli occhi. Al passaggio della cameriera ordina una media rossa e guarda il suo amico, che fa un cenno come a dire lo stesso.
Sei il maggiore di cinque tra fratelli e sorelle…
Preferirei non parlare di loro.
Certo, ma sappiamo che ti occupi dell’azienda di famiglia. Producete miele. Mi è stato detto che lo esportate in tutto il mondo.
Negli Stati Uniti va molto il miele di piante africane. Siamo gli unici in Brianza che da anni sanno come farlo davvero bene. Abbiamo quattro batterie di api egiziane. E mille metri quadri di serre dedicate solo alle magnolie nane. Usiamo ancora i vecchi telai Warré di mio padre. Sono pregni di milioni di impollinazioni. Tante, tante regine. Il nostro miele è ceroso, ricco di cristallizzazioni, e si apre all’olfatto solo nel tepore della bocca…
Passiamo alla letteratura. Silvia Avallone, Camilla Baresani, Andrea Vitali e numerosi altri narratori affermati scrivono in maniera metodica, ogni mattina. Anche tu segui un metodo preciso?
Reinaldo Arenas scriveva nascosto sugli alberi finchè c’era luce, perchè i militari di Castro gli davano la caccia. Salvatore Toma, un grande poeta pugliese, scriveva sugli alberi del giardino per non far sapere alla moglie che era in casa. Anche Luigi Meneghello ha scritto sugli alberi, non ne conosco il motivo, ma so che quando c’era vento gli piaceva urinare dall’alto dei rami e guardare le particelle dorate volare e disperdersi nell’aria in traiettorie arcuate. Non sto scherzando. E’ tutto vero. (Canu ride) Ok, torniamo a noi. Quando scrivo? Scrivo quando non ho da lavorare alle arnie. In ufficio sta mio fratello Nicola. E’ lui il manager, laureato in Scienze dell’Agricoltura e del Territorio. Io firmo gli ordini e do da mangiare ai cani. Scherzo. Conosco le vecchie ricette. E scrivo, certo, scrivo! Solitamente da febbraio, dopo la seconda sciamatura, c’è veramente poco da fare. O quando leggo qualcosa di formidabile che mi rinnova la passione per la letteratura. Come è capitato leggendo Ada, o ardore di Nabokov la prima volta. Nei quindici giorni seguenti ho visto il mondo in HD. Posso affermare di aver avuto pesanti strascichi magici in seguito alla prima lettura di quel testo. E ho dovuto scrivere. Ricordo quella folle appendice intitolata La tessitura interna del tempo, o qualcosa del genere… In ogni caso ho molto tempo libero. L’ho sempre avuto. Non ho terminato l’università, ma ho letto tanto nel frutteto. E da ragazzino, d’inverno, nelle serre o semplicemente a letto, come tutti. Mio padre ci ha lasciato l’azienda e una discreta biblioteca. Nei periodi buoni, anche quando non scrivo penso a quello che ho scritto, che ho letto e che scriverò. Ma non ho un metodo, e mi manca molto. Anche perchè mi fa ricordare che non avere un metodo è da dilettanti!
C’è qualcosa che ti è indispensabile mentre scrivi?
Da un punto di vista esterno la solitudine e la tranquillità. La luce del sole aiuta. Un bella mattina di sole con nessuno intorno. Una camicia pulita. Le unghie dei piedi curate. Ed essere andato a letto a un’ora decente la sera prima. Da un punto di vista interno un minimo di benessere, di autostima… Come dire… Meno bevo e meglio è. Quando non bevo per quindici giorni consecutivi la mia autostima comincia a crescere e scrivo come Jouhandeau. Sto scherzando…
Bevi molto?
Troppo. (Canu ci guarda sorridendo a tutta faccia)
Ti spiace se ne parliamo nell’intervista?
Sarebbe meglio se ne parlassi con un medico… (Canu sorride ancora) Piuttosto fatemi una bella domanda sul libro…
Il libro, certo. La scomparsa di Massimiliano Arlt. Parlaci della vicenda, e di come l’hai concepita.
La scomparsa di Massimiliano Arlt nasce dalla lettura di un classico, La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata. Un vecchio va a dormire per alcune notti in una casa d’appuntamenti accanto a giovani donne addormentate per mezzo di una droga che impedisce loro di svegliarsi fino al mattino successivo. Qualunque cosa accada. La storia è estremamente complessa. La maîtresse convince il vecchio a provare l’esperienza, poi gli intima di non far nulla di indecente alla ragazza con cui dormirà e infine lo blandisce e in qualche modo lo rassicura dicendogli che ha fiducia in lui perchè ormai è un uomo innocuo… Non ho ancora capito perchè, ma non dimenticherò mai questa vicenda. E posso dire lo stesso de La scomparsa di Massimiliano Arlt. O meglio, si può dire che le storie in cui è coinvolto il tema del sonno hanno dentro una spezia straniera che non mi so decidere a gustare. Le tengo in bocca senza riuscire a deglutirle. Ne La scomparsa di Massimiliano Arlt il protagonista si trova di fronte a una situazione umanissima: suo padre, un ricco politico, muore d’infarto proprio mentre lui sta vivendo la sua prima importante storia d’amore. La famiglia è ricca. Ma la madre è depressa. Tutto quel denaro e l’infelicità della donna hanno ragioni antiche, che emergono proprio in occasione dei funerali dell’uomo. I nodi vengono al pettine, e il pettine si spezza. I nodi continuano a pesare. Un uomo, sedicente amico del padre del ragazzo, gli propone di assumere un sonnifero e di andare a dormire da lui. In cambio di una discreta cifra. Minaccia e vantaggio. Mafia? Il ragazzo finisce per accettare. Si sottomette a un ricatto? O c’è dell’altro? E la storia con quella stupenda, meravigliosa, imperdibile ragazza? Questo è solo l’inizio del romanzo, che nei mesi ha preso una forma definita grazie al confronto con l’editor di Ellera. Ha avuto una grande pazienza. Me ne rendo conto ora che parlo con voi. Senza di lui le mie pagine sarebbero rimaste la trascrizione di uno di quei meravigliosi incubi di cui non si sa mai con chi parlare. E che poi si dimenticano senza averne succhiato il senso profondo, nutriente, velenoso e al tempo stesso benigno, terapeutico, come si dice…
A che pubblico ti rivolgi?
Ecco! Questa è davvero una bella domanda. Vale forse tutta l’intervista. Da un punto di vista sociale, esterno, è un piccolo romanzo che può far passare quattro ore di piacevole lettura a chiunque. Può essere letto come un thriller psicologico, ma senza sangue versato. Perchè è molto peggio: il sangue rischia di marcire in corpo ai personaggi! Da un punto di vista letterario può essere interpretato come una nota a margine durante una lettura di Poe, di Bioy Casares, di Gerard de Villiers… Da un punto di vista intimo – da anima ad anima – ha un potenziale enorme: in fase di editing mi è stato permesso di conservare tutta la dimensione onirica, sporca, coraggiosa, tutte quelle pagine vive di immagini misteriose a cui non ho saputo rinunciare. Se avessero insistito le avrei tolte. Non l’hanno fatto. E gliene sono grato. Il risultato è che il romanzo in alcune parti sa di selvatico, e un altro editore avrebbe deciso di conservarlo in cella frigorifera ancora per un pò, come le parti delle lepri che mio padre cacciava nei boschi di Montevecchia quando ero un bambino. Faceva un ragù pazzesco, irripetibile, ma mia madre a quei pranzi prendeva la pasta in bianco.
Quanto c’è di autobiografico in quello che scrivi?
Tutto.
Tutto?
Tutto.
Non vuoi spiegarci meglio?
Tutto non basta? Come dice Borges nella splendida intervista di Arbasino a Roma: Sognare è reale, leggere è reale, scrivere è reale, pensare è reale, emozionarsi è reale… Non credo che siano reali solo il documento d’identità, i genitori biologici, i contributi pensionistici, le persone con cui ci si scambia pacche sulle spalle nei locali notturni o alle grigliate… Tornando alla domanda: tutto ciò che scrivo è autobiografico, sia da un punto di vista civile che da un punto di vista intimo.
1/Continua
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