Spesso e volentieri, la paternità delle Memorie del Presbiterio viene assegnata non solo a Emilio Praga, ma anche all’amico Roberto Sacchetti, che dopo la morte di Praga termina il romanzo lasciato incompiuto.
Sacchetti è un giornalista piemontese, trasferitosi a Milano da qualche anno. Amico di Praga prima per motivi letterari (a Torino Sacchetti aveva difeso a spada tratta, nei circoli e sulle riviste, la raccolta Trasparenze di Praga) poi per la continua frequentazione degli Scapigliati (è Praga che introduce Sacchetti nell’ambiente, portandolo con sé alle riunioni conviviali all’Ortaglia di via Vivaio ), diventa un pubblico difensore e un divulgatore del movimento; pur con tutte queste frequentazioni, però, la sua sensibilità lo porterà lontano dall’estetica scapigliata quando si darà alla letteratura in proprio: l’autobiografico Cesare Mariani, Entusiasmi, ambientato durante le Cinque Giornate, e il racconto lungo Candaule, le sue opere più interessanti, non sono infatti assimilabili al gusto dei suoi compagni.
In ogni caso, quando Praga muore prima di aver terminato la sua opera, Leone Fortis, il direttore del Pungolo, rivista sulla quale lo scritto doveva apparire e che aveva già investito una discreta cifra per il lavoro, propone a Sacchetti, che non solo è intimo del Praga, ma è anche un fidato redattore del giornale, di concluderla, rendendo il testo pubblicabile.
Basandosi sulle lunghe chiacchierate avute con Praga, che in vita gli aveva già chiesto un aiuto per finirlo, Sacchetti agisce soprattutto sull’intreccio, dato che il romanzo in quella fase non ha capo né coda, e fondamentalmente scrive le parti di raccordo e il finale. Il suo intervento è senza alcun dubbio massiccio, ma lo stesso Sacchetti, certo con molta umiltà, tende a derubricare le sue azioni come puro mestiere e bassa manovalanza, nella premessa che anche noi ripubblichiamo:
una sola cosa ci ho messo di mio, od almeno mi sono sforzato di metterci, ed è il ricordo dell’amico nostro, ch’io mi studiai di riprodurre, come l’avevo vivo davanti gli occhi, nella figura, nei discorsi, e nelle digressioni del protagonista Emilio.
Cercando di capire le dimensioni del suo intervento, a noi è sembrato che il suo lavoro fosse in tutto e per tutto assimilabile a quello odierno dell’editor, soprattutto come praticato da una parte di loro, che amano intervenire sui romanzi che curano in modo massiccio e al limite dell’invasivo; ciò nonostante questi editor rimangono sempre nell’ombra, e nessuno ha mai accostato il loro nome a quello dell’autore. Cosa pensereste di un’edizione di Di cosa parliamo quando parliamo d’amore cofirmata da Raymond Carver e dal suo editor Gordon Lish? Non per nulla citiamo Carver (a chi non avesse familiarità con la questione consigliamo la lettura di questo articolo su Mi sa che gli scrittori bravi sono tutti morti, blog che al di là dello specifico post è sempre una lettura molto interessante): pur essendo forse il caso più eclatante del rapporto tra scrittore ed editor degli ultimi tempi, nessuno ha mai messo in discussione l’esclusiva attribuzione dell’opera.
Per questo alla fine abbiamo deciso di far uscire la nostra edizione delle Memorie del Presbiterio firmata dal solo Emilio Praga: questa scelta non vuole certo sminuire il lavoro di Roberto Sacchetti, ma ci è sembrata semplicemente la decisione più corretta da prendere. Sapete come si dice, no? Date a Cesare quel che è di Cesare…