Mentre preparavamo il testo de La Scapigliatura e il 6 febbrajo per l’edizione digitale, ci siamo trovati davanti a una situazione bizzarra: la punteggiatura nel nostro testo di riferimento (l’edizione del 1862, della tipografia di Giuseppe Redaelli) è totalmente inusuale – a essere buoni – per l’occhio moderno. Soprattutto le reticenze, i famigerati puntini di sospensione, sono un vero e proprio caos: in quantità variabile sia nel numero sia nella spaziatura dei punti, e messe indifferentemente prima o dopo i segni di interpunzione.
Che fare? Uniformare tutto il testo con criteri moderni o cercare di essere il più possibile fedeli all’edizione originale?
Perplessi e indecisi sul da farsi, abbiamo fatto qualche ricerca, e finalmente ci è venuta in aiuto la Nota al testo di Giuseppe Farinelli dell’edizione del 1978 de La Scapigliatura (ovvero la riedizione della versione del 1880 de La Scapigliatura e il 6 febbrajo, quella rivista e corretta dall’Arrighi): sembra che per tutto il periodo della composizione tipografica a mano, praticamente da Gutenberg fino all’avvento della Linotype alla fine dell’Ottocento, non ci fosse un criterio fisso per l’utilizzo dei puntini, e questi potevano variare a seconda del gusto dello scrittore e soprattutto a seconda della convenienza dello stampatore. Infatti chi componeva la pagina era solito cambiare numero e spaziatura delle reticenze – e a volte anche aggiungerle sua sponte e spesso totalmente a sproposito – per sistemare orfane, vedove e sillabazioni che non tornavano. Il risultato? Anarchia totale, e sulla pagina un tripudio di agglomerati grotteschi di punteggiature casuali, tipo !…;.
A questo punto la soluzione più saggia sarebbe stata correggere il tutto uniformandolo alle regole tipografiche moderne (come fa anche il Farinelli nell’edizione di cui sopra), ma le cose non sono mai così semplici! Il problema è che anche gli scrittori potevano usare questo espediente per far risaltare visivamente dei passi dei loro lavori o per modulare in modo più accurato le pause nella lettura: di questo tipo di soluzioni abbiamo anche un sacco di esempi moderni, basti pensare a D’Annunzio o a Gozzano. In effetti, almeno per noi, durante la lettura del romanzo quelle buffe concrezioni di punteggiatura si sono rivelate più d’aiuto che di intralcio – certo, appena ci abbiamo fatto l’abitudine.
Quindi come si fa a capire se la punteggiatura è una scelta dell’autore o un intervento dello stampatore? Presi in mezzo a questa aporia, abbiamo optato per una soluzione biecamente cerchiobottista: abbiamo uniformato tutte le reticenze, utilizzando l’usuale carattere con i tre puntini, ma non abbiamo toccato il resto, lasciandolo come stava.
Dato che però questo problema probabilmente si ripresenterà in futuro, ci piacerebbe avere un riscontro da voi lettori: preferireste avere un testo più pulito – almeno per i criteri moderni – o più fedele alla sua edizione originale? La strana punteggiatura vi dà fastidio durante la lettura? Fateci sapere, che la cosa ci incuriosisce assai!
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anarchia totale!!!
bello! …??!!///…@@@@!
…un bacione alle caterina-nina..;;)(! ..
la mia prof. di italiano diceva che i grandi poeti, i grandi scrittori possono mettere la punteggiatura come più gli piace, per dare l’idea che vogliono! w la punteggiatura volante che è vita vera (abbasso le cose uniformate:tristi!)
Sulla libertà di poeti e scrittori siamo totalmente d’accordo… Sono le libertà che si prendono i tipografi che a volte ci lasciano perplessi :)